venerdì 22 luglio 2011

IUniScuoLa. Dislessia, Gelmini presenta misure a favore di studenti con Disturbi specifici di apprendimento (DSA) per scuola e università


Ecco il Comunicato del Miur:

Il Ministro dell‘Istruzione, dell’Università e della Ricerca Mariastella Gelmini ha firmato il decreto attuativo della legge 170/2010 che riconosce la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia come disturbi specifici di apprendimento (DSA). La legge tutela il diritto allo studio dei ragazzi con DSA individuando e puntando soprattutto su nuove forme didattiche, su adeguate modalità di valutazione e su una specifica formazione dei docenti. Secondo le ultime rilevazioni del Miur, del febbraio 2011, sono circa 70 mila gli alunni con diagnosi di DSA, ma secondo recenti ricerche scientifiche la percentuale della popolazione scolastica interessata dai DSA va dal 3% al 5%, pertanto il numero dei casi non ancora diagnosticati potrebbe riguardare oltre 200 mila alunni. Il Miur guarda a questo problema con massima attenzione e promuove, anche attraverso nuove Linee Guida, il successo formativo - a scuola e all’università – di alunni e studenti con DSA, garantendo il supporto alle loro famiglie.

Misure educative e didattiche
Con il decreto attuativo e le Linee Guida, sono individuate, ai sensi della Legge 170/2010, le misure educative e didattiche di supporto utili a sostenere il corretto processo di insegnamento/apprendimento, fin dalla scuola dell’infanzia. Le Linee Guida presentano alcune indicazioni, elaborate sulla base delle più recenti conoscenze scientifiche, per realizzare interventi personalizzati, che puntano sulla centralità delle metodologie didattiche.

Strumenti compensativi e misure dispensative
Il decreto prevede strumenti didattici e tecnologici (strumenti compensativi) che facilitano lo studio degli alunni con DSA:

  • sintesi vocale, che trasforma un compito di lettura in un compito di ascolto;
  • il registratore, che consente all’alunno o allo studente di non scrivere gli appunti della lezione;
  • i programmi di video scrittura con correttore ortografico, che permettono la produzione di testi sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura e della contestuale correzione degli errori;
  • la calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo.

Le misure dispensative sono invece interventi che consentono all’alunno di non svolgere alcune prestazioni particolarmente difficoltose a causa del disturbo. Per esempio, si può essere dispensati dalla prova scritta di una lingua straniera, in corso d’anno e in sede di esame, e svolgere prove sostitutive equipollenti (con un computer dotato di sintesi vocale o in forma orale).

Rapporti con le famiglie
Particolare importanza riveste il rapporto con le famiglie degli alunni con DSA. Nel primo periodo di approccio dei figli con la scuola primaria, le famiglie sono poste di fronte a difficoltà inattese e necessitano di essere supportate e informate con professionalità e costanza sulle strategie didattiche che di volta in volta la scuola progetta per i loro figli, sulle verifiche e sui risultati attesi e ottenuti. Per tali necessità, le istituzioni scolastiche organizzeranno con maggior frequenza incontri con le famiglie interessate, affinché l'operato dei docenti risulti conosciuto, condiviso e coordinato con l'azione educativa della famiglia stessa.

Università
Anche gli studenti universitari con DSA hanno diritto a veder riconosciuti le misure dispensative e gli strumenti compensativi adottati nelle scuole, sin dai test di ammissione, nei quali si potrà prevedere un tempo aggiuntivo, fino a un massimo del 30% in più, per lo svolgimento delle prove.
Nel normale percorso accademico, gli Atenei consentono agli studenti con diagnosi di DSA di poter utilizzare le facilitazioni e gli strumenti compensativi eventualmente già in uso durante il percorso scolastico, quali, ad esempio:

  • registrazione delle lezioni;
  • utilizzo di testi in formato digitale;
  • programmi di sintesi vocale.

Anche durante gli esami universitari, si applicano le misure dispensative e gli strumenti compensativi (prove orali invece che scritte; uso di personal computer con correttore ortografico e sintesi vocale; tempo supplementare fino a un massimo del 30% in più).
Inoltre, gli Atenei debbono prevedere servizi specifici per gli studenti con DSA, che pongano in essere tutte le azioni necessarie a garantire l’accoglienza, il tutorato, la mediazione con l’organizzazione didattica e il monitoraggio dell’efficacia delle prassi adottate (ad es. utilizzo di tutor specializzati; consulenza per l’organizzazione delle attività di studio; lezioni ed esercizi on line sul sito dell’università, ecc.).

Formazione per i dirigenti scolastici e i docenti
Il MIUR ha già avviato e finanziato azioni di formazione su tutto il territorio nazionale, con l’obiettivo di avere un ‘referente per la dislessia’ in ogni scuola. Ad oggi, interventi di formazione sono stati realizzati in dodici regioni italiane. In altre sei saranno avviati entro l’anno.
A partire dal prossimo anno accademico, in accordo con la Conferenza nazionale permanente dei Presidi di Scienze della Formazione, il Ministero promuoverà percorsi di alta formazione attraverso l’attivazione, in 32 università, di Corsi di Perfezionamento o Master in “Didattica e psicopedagogia per i Disturbi Specifici di Apprendimento”, rivolti a dirigenti scolastici e a docenti delle scuole di ogni ordine e grado.
I corsi hanno durata annuale, con relativa acquisizione di 60 CFU (Crediti Formativi Universitari). Per realizzare un’offerta formativa flessibile, che si adatti ai diversi bisogni formativi del personale della scuola, i corsi sono articolati in tre moduli, ciascuno equivalente a 20 CFU, corrispondenti rispettivamente ad un livello ‘base’, ‘intermedio’ e ‘avanzato’, che possono essere frequentati anche singolarmente.
L’articolazione generale prevede almeno ¼ dell’impegno didattico dedicato ad esperienze laboratoriali, applicative delle cognizioni teoriche apprese, svolte a scuola, con certificazione delle attività da parte del Dirigente scolastico, o di tirocinio con tutor presso centri specializzati e scuole selezionate.
Le spese per la frequenza dei corsi saranno a carico del Ministero.
Per le azioni di formazione sono stati stanziati due milioni di euro.

Nascono i CTS per la dislessia – Centri Territoriali di Supporto alle scuole
Sono 96 i Centri Territoriali di Supporto, dislocati su tutto il territorio nazionale e rappresentano strutture di supporto per i docenti collocate presso “scuole polo”. I CTS possono essere impiegati come centri di consulenza, formazione, collegamento e monitoraggio e saranno connessi telematicamente, anche per la rilevazione dei dati. Vi operano tre docenti, esperti nelle nuove tecnologie, che potranno dare indicazioni su strumenti hardware e su prodotti software specifici, oltre che sull’impiego di strumenti compensativi. Per potenziare i CTS il MIUR ha stanziato, tra il 2010 e il 2011, un milione di euro.

Pagina web del sito
All’interno del sito del MIUR, è stata dedicata una pagina web ai DSA, all’indirizzo http://www.istruzione.it/web/istruzione/dsa.
È possibile visionare, oltre all’intera normativa in materia, schede di approfondimento, costantemente aggiornate, e documentazione degli interventi didattici attivati dalle scuole (come per esempio il Piano Didattico Personalizzato). Sono inoltre riportati i recapiti dei referenti regionali del MIUR per i DSA e gli indirizzi dei CTS. Tra le pubblicazioni sul sito, anche il volume degli Annali dell’Istruzione che è stato recentemente dedicato ai DSA.

Protocollo d’intesa Miur-Telecom-AID
Prosegue la collaborazione con la Fondazione Telecom Italia che, con l’Associazione Italiana Dislessia, ha attuato un articolato programma di interventi sul fronte del monitoraggio e riconoscimento precoce della dislessia, sulla formazione e sensibilizzazione degli insegnanti, sulla diffusione, a casa e nelle scuole, di tecnologie specifiche per la lettura e l’apprendimento. Inoltre, quest’anno si attiva il concorso “A scuola di dislessia” per promuovere l’innovazione didattica.

Monitoraggio

Con decreto del Ministro è istituito un Gruppo di lavoro nazionale con il compito di monitorare l’attuazione delle norme della Legge 170/2010 e delle disposizioni contenute nel decreto attuativo.

giovedì 14 luglio 2011

Rapporto Cnel sul mercato del lavoro 2010-2011: prospettive migliori ma rischi in agguato

da News del CNEL

La crisi degli ultimi due anni ha colpito la crescita dell’economia, ma ha risparmiato in parte l’occupazione che ha retto grazie al sistema di ammortizzatori sociali, che hanno salvato 833 mila posti di lavoro. Tuttavia, giovani e Mezzogiorno hanno visto crescere le difficoltà e le prospettive per il 2011 non consentono di garantire una crescita tale da recuperare i posti di lavoro persi.

E’ la sintesi delle conclusioni alle quali è giunto il Rapporto Cnel sul Mercato del Lavoro 2010-2011, realizzato dal team guidato dal prof. Carlo dell’Aringa e presentato il 14 luglio 2011 in una iniziativa aperta dal Presidente del Cnel Antonio Marzano, con la partecipazione del Presidente della Commissione (III) del Cnel Edoardo Patriarca, del presidente dell’Istat Enrico Giovannini, e del Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi.

Il Rapporto ha messo in evidenza che il sistema italiano degli ammortizzatori , pur proteggendo i lavoratori dagli aspetti più gravi della caduta produttiva, non è comunque riuscito a evitare che fossero i giovani con occupazione a tempo determinato a subire i contraccolpi maggiori della crisi.

Il Rapporto parla di una dimensione generazionale della crisi che ha visto peggiorare anche la prospettiva di passaggio ad una occupazione stabile; mentre prima della crisi il 31% dei giovani occupati con contratto temporaneo passava ad una occupazione stabile, dopo la crisi ciò accadeva solo per il 22%. Non solo: mentre prima della crisi il fenomeno dei NEET (né occupati, né in formazione) si aggirava intorno al 16% dei giovani (16-24 anni) e al 24 % per i giovani adulti (25-30 anni); dopo la crisi la percentuale è salita rispettivamente al 18,6 e al 28,8 % nel terzo trimestre 2010.

Il Mezzogiorno ha sofferto più di altre zone del Paese, con un calo dell’occupazione che è stato del 5%: più di tre volte superiore al calo subito nel Nord ( 1,5%). Peraltro il tasso allargato della disoccupazione meridionale (disoccupati più “scoraggiati” che interrompono la ricerca) ad una quota pari al 24,5%.

Lavoratori stranieri e lavoro femminile sono le due grandezze che hanno visto crescere la base dell’occupazione, ma mentre per l’occupazione femminile la crescita si è accompagnata ad una bassa qualificazione dei posti di lavoro, nella componente di occupazione straniera, aumentata di 330 mila unità fra il 2008 e il 2010, i tassi di disoccupazione negli anni della crisi vengono segnalati dal Rapporto Cnel in misura nettamente superiore alla componente italiana.

Di particolare rilievo l’analisi relativa ai titoli di studio ed alle competenze richieste dal mercato del lavoro.

La laurea e la qualificazione garantiscono posti di lavoro più della istruzione inferiore, anche se solo per un terzo dei casi di livello coerente al titolo di studio. Fra il 2007 e il 2010, gli occupati laureati sono infatti aumentati ( +286mila persone) mentre gli occupati con basse qualifiche ed istruzione sono diminuiti (- 887 mila lavoratori).

Il Rapporto analizza il modello virtuoso tedesco che, grazie a competitività ed esportazioni, è riuscito ad attraversare la crisi di crescita europea senza soffrire in termini di perdita occupazionale, ed indica proprio quel modello, fatto di qualificazione, istruzione e politiche attive di reinserimento dei lavoratori nel circuito produttivo. Le prospettive 2011 indicate dal Rapporto non sono negative. Nonostante tutto, gli indicatori non segnalano un allarme di disoccupazione strutturale in Italia e indicano che, nello scenario base, con una crescita del Pil tra lo 0,5% e l’1%, la flessione delle unità del lavoro sarebbe leggera, gli occupati crescerebbero dello 0,3% ed il tasso di disoccupazione scenderebbe dall’8,4 al 8,1%.

Nello scenario meno favorevole, invece, la ristrutturazione potrebbe continuare. Nell’uno come nell’altro caso la domanda di lavoro futura vedrà aumenti maggiori per le professioni qualificate e contrazioni per il lavoro meno qualificato.

Roma – 14 luglio 201

lunedì 11 luglio 2011

L'inquinamento costa 10 miliardi e 8.200 morti


Ambiente urbano. Servono interventi radicali, ma giustificati dagli enormi costi sociali del fenomeno

di Marco Percoco, assistant professor al Dipartimento di analisi istituzionale e management pubblico alla Bocconi

La World health organization ci ha ricordato, se mai ve ne fosse bisogno, che la qualità dell’ambiente urbano in Italia è scadente. Delle quattro città più inquinate d’Europa, tre sono italiane. La maglia di più inquinata del Vecchio Continente va a Plovdiv in Bulgaria, seguita da Torino, Brescia e Milano. Quest’ultima è nel gruppetto di testa, nonostante decenni di interventi di lotta allo smog più o meno efficaci.

Le città hanno conosciuto e mostrato un interesse nei confronti del problema inquinamento altalenante e non sempre sostenuto da una visione di lungo periodo. Ultimamente, sembra aver prevalso la rassegnazione sia dal lato dei cittadini sia da quello degli amministratori locali, come se la famigerata concentrazione di PM10 e di NOx fosse un inevitabile prodotto dello sviluppo economico. Ma la Who ha stimato in 8.200 i decessi attribuibili all’inquinamento nelle 13 città italiane più grandi; ben 2.000 di queste morti avvengono a Milano. Tutto ciò ha un costo per la collettività, un costo invero significativo in questo caso. Se si considera che la stima del valore sociale di una vita umana è di circa 1,2 milioni di euro, si ottiene che il costo sociale dell’inquinamento è di quasi 10 miliardi di euro, di cui 2,4 per la sola Milano.
Sebbene questa cifra possa sembrare enorme, va detto che essa rappresenta una stima per difetto sia perché lo studio fornisce dati anche sulle malattie indotte dallo smog e non necessariamente mortali (si pensi all’asma), non ricomprese nel costo sociale, sia perché l’analisi della Who considera solo il territorio comunale e non quello metropolitano.
Le città italiane hanno fatto qualcosa negli ultimi anni per far fronte all’inquinamento, ma hanno fatto poco e male. Gli interventi di regolazione del traffico (che contribuisce per oltre il 50% alla produzione di PM10) a mezzo di zone a traffico limitato, targhe alterne, domeniche a piedi, si sono rivelati generalmente inefficaci.
Milano ha adottato, al pari di altre città europee, una tassa per le automobili che entrano nel centro della città, il cosiddetto Ecopass. Tale intervento ha abbassato il livello medio di concentrazione di polveri sottili del 17-18%, con evidenti e significative ricadute per la salute pubblica. Studi recenti dimostrano che l’applicazione dell’Ecopass ha prodotto una variazione positiva del benessere sociale, in alcuni casi addirittura superiore a quella generata dalla tassa sulla congestione londinese.
Ma è necessario fare di più a Milano come nelle altre città italiane. L’introduzione di una tassa sull’inquinamento può apportare significativi guadagni per la collettività purché applicata in maniera estensiva. Inoltre, incentivi all’acquisto di mezzi ecologici (o disincentivi all’acquisto di auto più inquinanti come i suv, così come paventato dal recente decreto sul federalismo fiscale) potrebbero garantire sicuri benefici sociali, sebbene solo nel lungo periodo.
Infine, il consumo di suolo nelle aree periurbane va limitato. La dispersione urbana produce un incremento dei chilometri percorsi dalle persone che si spostano dalle periferie verso il centro, con un conseguente deterioramento dell’ambiente. Una città metropolitana più compatta garantirebbe, invece, una migliore gestione della mobilità e un minor ricorso all’automobile e, di conseguenza, un minore inquinamento.
Questi interventi sono necessari, anche se sembrano estremamente costosi, ma forse un problema da circa 10 miliardi di euro all’anno vale un’attenzione e un attivismo superiori a quelli attuali
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fonte Via sarfatti25.it

sabato 2 luglio 2011

Milano.Più attenzione ai parcheggi per disabili

L'assessore alla Polizia Locale Marco Granelli ha deciso di dare priorità assoluta agli interventi di rimozione forzata in caso di occupazione abusiva dello spazio auto riservato ai disabili
Milano, 1° luglio 2011 - Priorità assoluta agli interventi di rimozione forzata per auto in sosta sugli spazi riservati ai disabili. Lo ha deciso oggi l’assessore alla Polizia Locale e alla Coesione sociale Marco Granelli, che ha già dato disposizioni a riguardo al Comandante della Polizia locale. L’urgenza è dettata dalle continue segnalazioni di disabili che si ritrovano il posto auto a loro riservato occupato, tra cui il caso della mamma di Rebecca, la bambina affetta da disabilità grave. “Oggi stesso - ha fatto sapere l’assessore - ho telefonato alla mamma di Rebecca per segnalarle azioni e progetti che intendiamo realizzare. Le ho anche chiesto di fissare un incontro per verificare quanto accaduto". Il piano, che verrà realizzato anche in collaborazione con l'assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino, prevede:

- la priorità assoluta agli interventi di rimozione forzata in caso di occupazione abusiva dello spazio auto riservato ai disabili;

- una campagna di sensibilizzazione per il rispetto delle aree di sosta, da realizzare insieme alle associazioni di disabili e a chi lavora in questo ambito;

- analisi e successiva sperimentazione di un sistema, già brevettato da alcune aziende, che permetta l'installazione di un sensore presso il posto auto in grado di riconoscere quando a parcheggiare non è un veicolo autorizzato.

“Con queste azioni - ha spiegato l’assessore - si vuole aiutare la nostra città ad essere più attenta a tutti, iniziando dalle persone che hanno più difficoltà: è una questione di dignità. Noi stiamo facendo la nostra parte come istituzioni, chiediamo la collaborazione dei cittadini per dare un segnale di civiltà”.

Nelle prossime settimane verranno resi noti gli interventi realizzati e l’andamento delle azioni programmate.