mercoledì 1 aprile 2020

Conte proroga la stretta 'Se molliamo ora, sforzi vani'


Il premier Giuseppe Conte ha firmato il dpcm proroga blocchi fino al 13 aprile. I morti sono “una ferita che mai potremo sanare: non siamo nella condizione di poter allentare le misure restrittive e alleviare i disagi e risparmiarvi i sacrifici a cui siete sottoposti”, ha detto il presidente del Consiglio in conferenza stampa a Palazzo Chigi. 
“C’è una sparuta minoranza di persone che non rispetta le regole: abbiamo disposto sanzioni severe e misure onerose. Non ci possiamo permettere che l’irresponsabilità di alcuni rechino danni a tutti”.  
“Se iniziassimo ad allentare le misure, tutti gli sforzi sarebbero vani, quindi pagheremmo un prezzo altissimo, oltre al costo psicologico e sociale, saremmo costretti a ripartire di nuovo, un doppio costo che non ci posiamo permettere. Invito tutti a continuare a rispettare le misure
Non siamo nelle condizioni di dire che il 14 aprile allenteremo le misure. Quando gli esperti ce lo diranno, entreremo nella fase 2 di allentamento graduale per poi passare alla fase 3 di uscita dall’emergenza, della ricostruzione, del rilancio”. 
La fase due sarà di convivenza con il virus. Poi, la fase tre, sarà di uscita dall’emergenza e di ripristino della normalità lavorative, sociali, della ricostruzione e del rilancio”. 

Non abbiamo affatto autorizzato l’ora del passeggio coi bambini. Abbiamo solo detto che quando un genitore va a fare la spesa si può consentire anche l’accompagno di un bambino. Ma non deve essere l’occasione di andare a spasso e avere un allentamento delle misure restrittive”.
Nel nuovo dpcm si vietano gli allenamenti anche degli atleti professionisti “onde evitare – ha spiegato Conte – che delle società sportive possano pretendere l’esecuzione di una prestazione sportiva anche nella forma di un allenamento. Ovviamente gli atleti non significa che non potranno più allenarsi: non lo faranno in maniera collettiva ma individuale”. 
“Io sono stato ben chiaro: nelle nostre decisioni politiche abbiamo fatto una scelta. Partiamo dal presupposto che la nostra Costituzione attribuisce valore prioritario alla tutela della salute e poi cerchiamo anche di contemperare le esigenze dell’economia”, ha detto il premier Giuseppe Conte in conferenza stampa a Palazzo Chigi parlando delle misure anti contagio adottate dal governo. “Credo – aggiunge – che una decisione politica debba avere una base scientifica. Non ho mai detto che seguiamo alla lettera le valutazioni del comitato tecnico scientifico: ho detto che valutiamo le indicazioni degli scienziati. La politica sta affrontando un nemico sconosciuto che non è abituata ad affrontare, così come gli scienziati. Ma poi interviene la politica e la prospettiva è diversa perché il decisore politico deve agire in scienza e coscienza tenendo conto di tutti gli interessi in gioco. E soprattutto deve essere guidato dai principi costituzionali, che sono anche nella Costituzione a volte in contrasto tra loro”.
LA CONFERENZA DI CONTE 
L’INTERVISTA AL PREMIER – Accordi e Disaccordi”Proroga fino al 3 maggio? E’ un’ipotesi non accreditata, in questo momento è presto. I nostri esperti aggiornano i dati ogni giorno, fino al 20 aprile ci saranno elaborazioni”. Così il premier Giuseppe Conte durante la registrazione dello Speciale Accordi e Disaccordi in onda stasera alle 21,25 sul Nove. “Dire oggi ‘primi di maggio o fine di aprile’ non ha senso. Gli italiani devono sapere che il regime di restrizioni è necessario – continua – nel momento in cui vedremo possibilità di allentare questa morsa, saremo i primi a volerlo fare”.
“Innanzitutto il messaggio che dobbiamo dare agli italiani è confermare che il regime attuale continua”, ha detto il premier Giuseppe Conte durante la registrazione dello Speciale Accordi e Disaccordi in onda stasera su Nove. “Bisogna rispettare le regole. Stiamo attraversando una fase delicata. Un timido segnale di contenimento c’è, ma non dobbiamo abbassare il livello di guardia, altrimenti – continua – gli sforzi saranno stati vani”.
”E’ certo che non ritengo di dover rimanere seduto su questa poltrona vita natural durante. Ovviamente mi attengo all’orizzonte di una legislatura, ma poi rimetto alle forze di maggioranza le valutazioni, confido che si possa lavorare anche per la ricostruzione, questo sì”. Lo ha detto il premier Giuseppe Conte allo Speciale Accordi e Disaccordi, sul Nove, rispondendo a una domanda sul futuro del governo. ”Se penso ci possa essere un cambio di governo esaurita l’emergenza sanitaria? Dovendo lavorare su un’emergenza complessa e impegnativa gli scenari futuri non possono appassionarmi”.
LE PAROLE DI SPERANZA AL SENATO – Il governo ha deciso di prorogare fino al 13 aprile tutte le misure di limitazione alle attività e agli spostamenti individuali finora adottate, ha annunciato in mattinata il ministro della Salute, Roberto Speranza, nell’informativa al Senato. “Siamo nel pieno di un’esperienza durissima e drammatica – ha detto il ministro – avremo tempo e modo di valutare ogni atto e conseguenza, ma a tutti è chiara una cosa: il Servizio sanitario nazionale è il patrimonio più prezioso che possa esserci e su di esso dobbiamo investire con tutte le forze che abbiamo. Il clima politico positivo e unitario è una precondizione essenziale per tenere unito il Paese in questo momento difficile della nostra storia. Non è il tempo delle divisioni. L’unità e la coesione sociale sono indispensabili in queste condizioni, come ha detto il presidente Mattarella”, ha sottolineato. “Attenzione ai facili ottimismi – dice ancora SPeranza – che possono vanificare i sacrifici fatti: non dobbiamo confondere i primi segnali positivi con un segnale di cessato allarme. La battaglia è ancora molto lunga e sbagliare i tempi o anticipare misure sarebbe vanificare tutto”.
Ad oggi i posti in terapia intensiva “sono 9.081, con un incremento del 75% in meno di un mese, contro i 3.595 iniziali. Sono stati cioè triplicati”. I posti letto in Pneumologia sono invece passati da 6.525 a 26.524. Inoltre, ha annunciato, “sono stati già firmati 12.000 nuovi contratti per il personale sanitario e altre procedure sono in corso”.
Le decisioni “drastiche prese – ha spiegato Speranza – iniziano a dare i primi risultati e il contagio rallenta, ma sarebbe un errore scambiare un primo risultato per una sconfitta del Covid-19”. Il ministro ha quindi indicato un obiettivo: “Dobbiamo portare sotto il livello 1 il parametro R con zero, ovvero l’indice di contagio. Questo per evitare che il Sistema sanitario nazionale venga colpito da un ulteriore tsunami, ma la strada è ancora lunga” anche perchè in mancanza di un vaccino è tutto “molto difficile”. Il ministro ha anche fatto riferimento alla necessità di “graduali misure” per evitare una ripresa esponenziale dei casi. La “fase di condivisione con il virus – ha detto – andrà gestita con l Comitato tecnico scientifico, con prudenza e conservando le pratiche dei comportamenti responsabili”. “Dobbiamo programmare il domani e lo stiamo già facendo – ha concluso – ma non bisogna sbagliare i tempi”.
Emma Bonino dopo l’informativa del ministro ha chiesto di verificare “con i tamponi tutti le persone anche asintomatiche che in questi giorni lavorano per rendere la nostra vita possibile: possono a loro insaputa e senza volerlo divulgare il contagio”. 
“Dobbiamo stare chiusi in casa fino a Pasquetta? Bene – ha detto Renzi nel suo intervento – Ma domani è la giornata dell’autismo. Pensiamo agli autistici che hanno bisogno di uscire. Rispettiamo la decisione del ministro Speranza, ma lui domani rifletta se non valga la pena di permettere agli autistici di poter uscire almeno per un periodo. Come gestire l’emergenza non può essere affidato solo ai virologi. La riapertura deve essere graduale e prudente ma deve essere strategica per non ripetere errori che ci sono stati. Non facciamo l’errore di dare ai tecnici il potere di decidere quello che tocca alla politica. Chi chiede di tornare a pensare ad una nuova normalità lo fa anche perchè nella gestione dell’emergenza gli italiani danno il meglio; ma tornare a una normalità è cardine della nostra democrazia”.

martedì 31 marzo 2020

Una circolare del Viminale ha specificato le possibilità per un genitore di fare due passi con i propri figli vicino all’abitato

La stessa possibilità è prevista anche per i disabili e gli anziani

Il ministero dell’Interno ha diffuso una nuova circolare inviata ai prefetti e destinata a chiarire alcuni aspetti dei divieti in vigore per rallentare la diffusione del coronavirus in Italia.

Vi si dice in particolare che per quanto riguarda gli spostamenti di persone, «è consentito a un solo genitore camminare con i propri figli minori» e che «tale attività può essere ricondotta alle attività motorie all’aperto, purché in prossimità della propria abitazione» e che un genitore può camminare insieme ai propri figli anche nel corso di spostamenti motivati da situazioni di necessità o per motivi di salute, che sono tra quelli consentiti a tutti. Il chiarimento sembra andare incontro alle molte richieste di genitori di permettere un’uscita sorvegliata ai bambini e ai ragazzi, promosse in questi giorni e raccolte da diversi giornali.
Inoltre, la circolare autorizza la presenza di accompagnatori anche nel caso di uscite di anziani e disabili.
Il Post ha fatto una newsletter sul coronavirus, per aggiornare e informare sulle cose da sapere e su quelle da capire: ci si iscrive qui.
Potranno essere, altresì, consentiti spostamenti nei pressi della propria abitazione giustificati da esigenze di accompagnamento di anziani o inabili da parte di persone che ne curano l’assistenza, in ragione della riconducibilità dei medesimi spostamenti a motivazioni di necessità o di salute.
La circolare aggiunge anche che «l’attività motoria generalmente consentita», come fare una passeggiata con i propri figli, «non va intesa come equivalente all’attività sportiva (jogging)». Questo punto della circolare farebbe suonare incerta la possibilità di fare attività sportiva all’aperto, andando in contrasto con quanto detto nelle scorse settimane dalle autorità. Nella pagina del sito del governo che contiene le risposte alle domande frequenti sulle restrizioni agli spostamenti e agli assembramenti è infatti scritto che: «Si può uscire dal proprio domicilio solo per andare al lavoro, per motivi di salute o per necessità ovvero per svolgere attività sportiva o motoria all’aperto. Pertanto le passeggiate sono ammesse solo se strettamente necessarie a realizzare uno spostamento giustificato da uno dei motivi appena indicati. […] Inoltre è giustificata ogni uscita dal domicilio per l’attività sportiva o motoria all’aperto».
Successivamente alla pubblicazione della circolare, fonti del ministero dell’Interno riportate da ANSA hanno precisato che il jogging rimane tra le attività permesse. Per ora sul sito del ministero non sono state pubblicate precisazioni ufficiali.
La circolare, firmata dal capo di Gabinetto Matteo Piantedosi, ribadisce poi quanto già detto dai decreti governativi emessi nelle scorse settimane e cioè che è vietata ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico, ma specifica che tale divieto non può ritenersi violato dalla presenza in spazi all’aperto di persone ospitate nella medesima struttura di accoglienza (come ad esempio le case-famiglia).


Coronavirus, l’assessore di Brescia a TPI: “Il Governo non ha inquadrato bene la situazione.


Alessandro Cantoni a TPI denuncia: "Sia Stato che Regione non hanno ben compreso il grido d’aiuto che viene dalla nostra città. Le terapie intensive qui sono al collasso e siamo addirittura costretti a trasferire i pazienti in Germania"

Coronavirus, l’assessore di Brescia a TPI: “Riceviamo più aiuti dall’estero che dall’Italia”
Alessandro Cantoni è assessore del Comune di Brescia alle Politiche per la Casa e alla Partecipazione dei Cittadini, è un ingegnere, un giovane amministratore come molti di quelli che in questi giorni lavorano per dare risposte a cittadini sempre più disorientati e, purtroppo, sempre più vulnerabili. Lo incontriamo per capire cosa sta accadendo a Brescia, una delle città più colpite dall’emergenza Coronavirus.
Qual è la situazione oggi a Brescia? Ci sono miglioramenti?
Purtroppo no. A Brescia non siamo in una parabola discendente come sta avvenendo in altre città. Abbiamo circa 350 contagiati al giorno identificati, ma in realtà sono molti di più, e 70-80 decessi al giorno. Non riusciamo a contenere il contagio e soprattutto non riusciamo a comprendere come mai le nostre richieste d’aiuto non vengano ascoltate.

 Che cosa avete chiesto?
Abbiamo chiesto cose molto semplici, si tratta di richieste fatte da indicazioni dei medici di base e dai primari della terapia intensiva, ovvero effettuare tamponi a tutte le famiglie che hanno un solo sintomo. I familiari escono per fare la spesa, vanno in farmacia, vanno a lavorare e possono contagiare altre persone. I numeri che ci vengono detti non sono reali. Tutti gli amministratori hanno una rete di relazioni, sappiamo di avere cittadini a casa con la febbre, alcuni non riescono nemmeno a chiamare l’ambulanza. Non possono fare il tampone e probabilmente in tantissimi sono positivi.

Come sta reagendo il governo?
Siamo in un limbo, non riusciamo a far capire al Ministro Speranza, al Presidente del Consiglio e alla Protezione Civile che probabilmente non hanno inquadrato bene la situazione, che abbiamo bisogno di medici, di infermieri e attrezzature necessarie per curare i nostri malati. Questo lo dico senza fare alcuna polemica: vogliamo essere pratici e concreti, sia Stato che Regione non hanno ben compreso il grido d’aiuto che viene dalla nostra città.
I medici degli ospedali ci fanno capire che non hanno abbastanza personale e persone specializzate, oltre 300 dipendenti dell’ospedale sono a casa in quarantena perché positivi, e non è possibile mettere in TU infermieri che si sono laureati il 13 marzo.

Chi vi sta aiutando?
Non riusciamo a capire perché le regioni vicine non ci stanno dando una mano soprattutto per quanto riguarda le terapie intensive che qui sono al collasso costringendoci addirittura a trasferire i pazienti in Germania! Riusciamo a chiamare e coinvolgere infermieri e medici che ci vengono mandati dall’estero, dall’Albania, dalla Slovenia. Risulta evidentissimo che da questa tragedia va completamento rivisto il servizio sanitario nazionale. Anzi, non esiste davvero un servizio sanitario nazionale.
I 400 milioni annunciati dal Presidente Conte saranno sufficienti per i comuni?
Possiamo già dire che è una cifra insufficiente, ci aspettiamo la nostra quota parte, ma stiamo parlando di briciole. L’auspicio è che sia un primo step che possa essere integrato con step successivi a brevissima scadenza. Fortunatamente noi siamo già pronti da tempo con un regolamento, che indica come spendere queste risorse, perché già avevamo pensato ad un fondo di questo tipo per le famiglie bisognose.

Viene da pensare che siano indispensabili, i volontari, più che le istituzioni.
Abbiamo la fortuna di aver creduto nello strumento di partecipazione dei consigli di quartiere, in seguito all’abolizione delle circoscrizioni. Queste realtà ci stanno aiutando a coordinare e reclutare oltre 500 volontari che aiutano con spese, acquisto farmaci e quant’altro viene richiesto con urgenza. Senza di loro saremmo perduti.
Cosa dovrebbe fare lo Stato?
Lo Stato deve fare lo Stato: supportare dal punto di vista economico le persone che hanno perso un lavoro, chiuso le aziende, studi professionali o negozi e tutte le realtà connesse. Gli interventi di cui parliamo sono insufficienti. Inoltre l’aiuto più importante in questa fase è quello di avere una regia capace di capire le difficoltà del nostro sistema sanitario.
Le varie disposizioni ministeriali devono, a mio avviso, essere divise per zone. Non tutte le città sono uguali, anzi presentano criticità diverse. Noi di Brescia, Bergamo e hinterland dovremmo ricevere maggiore attenzione. Stiamo, per esempio, finendo le bombole dove trasferire l’ossigeno per i pazienti che si trovano a casa. Ripeto, non si possono fare disposizioni per tutta l’Italia, perché le condizioni sono diverse. Invece tutta l’Italia dovrebbe aiutare le zone più colpite: abbiamo fatto l’Italia e ora dobbiamo fare gli italiani.

Sospensione mutuo casa: modulo di richiesta da compilare online


Nuovo modulo aggiornato con le novità sull'allargamento della platea e le nuove possibilità di sospensione mutuo prima casa previste per l'emergenza Coronavirus: si scarica e compila online la richiesta da presentare in banca.
Non solo regole più flessibili ma anche semplificazioni nel presentare domanda online di sospensione mutuo prima casa per l’emergenza Coronavirus: il ministero delle Finanze segnala la nuova modulistica, compilabile direttamente online. Si tratta, lo ricordiamo, dell’agevolazione che consente di sospendere per 18 mesi (in aggiunta ad eventuali precedenti sospensioni) il mutuo prima casa, così come previsto da due diversi provvedimenti di Coronavirus, il dl 9/ 2018 e il dl 20/2020.
30 Marzo 2020Il modulo va presentato alla banca, è aggiornato con le nuove regole (per cui consente di presentare la domanda in caso di riduzione o sospensione dal lavoro per almeno 30 giorni lavorativi consecutivi, o per autonomi e liberi professionisti che hanno subito riduzioni di fatturato pari almeno al 33%). Ed è pensato per essere più semplice da compilare rispetto al modello precedente.
Ricordiamo che, in base a quanto previsto dal decreto ministeriale attuativo, è possibile beneficiare della sospensione di 18 mesi anche se in passato erano già stati autorizzati altri provvedimenti analoghi, purché l’ammortamento sia ripreso da 3 mesi.
Per le sospensioni dovute all’emergenza Coronavirus non è richiesta neanche la presentazione dell’ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente). Inoltre, il Fondo paga il 50% degli interessi che maturano nel periodo della sospensione.
26 Marzo 2020Il modulo è scaricabile sui siti del Dipartimento del Tesoro (ministero dell’Economia), di Consap (concessionaria servizi assicurativi pubblici) e dell’Abi (banche italiane).

Come detto, è prevista la compilazione online. Il cittadino in possesso dei requisiti previsti per l’accesso al Fondo, spiega il ministero, «deve prendere contatto con la banca che ha concesso il mutuo, la quale dietro presentazione della documentazione necessaria procede alla sospensione del finanziamento».



mercoledì 29 maggio 2019

Elezioni Comunali San Fele " Scoperte le Carte" 1-2

1 Riorganizzazione della Pubblica Amministrazione e Funzionamento degli uffici

2 Viabilità ed Assetto urbano

giovedì 16 maggio 2019

Cercasi partiti interessati al voto laico


Il recente sondaggio realizzato dalla Doxa per conto dell’Uaar ha confermato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, che la maggioranza degli italiani è tendenzialmente laica. 
Anzi, gli italiani sono laici con un’intensità persino maggiore rispetto a tante credenze e aspettative, e diventano ancora più laici se sono messi in condizione di comprendere come funzionano (e quanto realmente incidono sulle loro tasche) le tante attività “pubbliche” della Chiesa cattolica. Nello stesso tempo, le consultazioni europee ripropongono, a chi vorrebbe esprimere un voto in prima battuta laico, dilemmi non nuovi — e ancora lontanissimi, purtroppo, da una possibile soluzione.
Scorriamo le liste elettorali. Scartiamo immediatamente i partiti apertamente antilaici come la Lega, Forza Italia, FdI e gli altri nostalgici del clericalismo, del fascismo e del clerico-fascismo. Quali scelte ci rimangono? Il Pd ha un programma blandamente laico e qualche candidatura rispettabile, ma una maggioranza di elettori ed eletti che si proclamano cattolici (e passi) e che sono particolarmente sensibili alle opinioni espresse in Vaticano (e questo è un rospo più difficile da ingoiare). I Cinque Stelle sono sulla carta un po’ più laici, ma fanno discutere per le loro posizioni su diversi temi scientifici. Governando con la Lega, si sono dimenticati di recuperare i miliardi di Ici arretata dovuta dalla Chiesa, e nel contempo non hanno nulla da contestare quando i ministri alleati promuovono ostentatamente concezioni integraliste della famiglia. Vi sono infine alcune liste (La Sinistra, Europa Verde, +Europa / Italia in comune) laicamente più credibili, ma che stando ai sondaggi difficilmente raggiungeranno il quorum. Quanto al rifugiarsi nel non voto (per scelta o per disperazione) ci si dovrebbe sempre ricordare che le istanze dei movimenti astensionisti — anarchici sopra tutti — non sono mai diventate realtà, proprio perché il non voto non incide in alcun modo sulla legislazione.
Altro elemento di riflessione: gli ultimi anni sono stati contrassegnati da numerosi e imprevedibili successi elettorali dei populisti antilaici e da parallele, talvolta pesanti sconfitte dei progressisti e dei liberal. Gli operai ora votano Trump, anche se la sinistra primeggia nei quartieri-bene. Un mondo rovesciato?
È naturale, di fronte a fenomeni di così ampia portata, pensare che la storia abbia preso definitivamente una certa direzione. Ma sarebbe sbagliato farlo. Perché non è detto che, quando qualcosa va storto, è inevitabile che debba sempre andare storto. Ma è sbagliato anche per un altro motivo: chi a suo tempo aveva previsto quanto accade oggi ci fornisce anche parecchie informazioni utili per capire meglio i tempi in cui viviamo. E, se ci impegniamo un poco e se ci impegniamo bene, anche per rendere il futuro più laico…
La rivoluzione silenziosa
Lo statunitense Ronald Inglehart è uno dei più autorevoli sociologi al mondo. È stato il più importante animatore del World Values Survey, un programma di ricerca internazionale che ci ha permesso di comprendere più adeguatamente le società in cui viviamo. Ha scritto numerosi libri, quattro dei quali tradotti in italiano. Il primo di essi, La rivoluzione silenziosa, risale a un’epoca in cui non erano ancora arrivati al potere Ronald Reagan, Margaret Thatcher e l’ayatollah Khomeini. Eppure, nonostante sia del 1977 e ormai da tempo fuori commercio, contiene passaggi che potremmo definire profetici — se solo credessimo ai profeti.
Dati alla mano, Inglehart notava che si stava verificando un progressivo slittamento dai valori materialisti (che assegnano primaria importanza al denaro e alla sicurezza) ai valori post-materialisti (che enfatizzano invece la qualità della vita). Chi coltiva i primi è molto ossequioso della nazione, dell’autorità, della tradizione, della religione; i secondi fanno proprie opinioni e istanze laiche. E lo fanno perché, grazie al benessere raggiunto, possono permettersi di non pensare troppo agli affanni dell’esistenza e di godersela di più. Pertanto, osservava quasi mezzo secolo fa Inglehart, “siamo testimoni di uno spostamento del conflitto sociale, con una parte della classe media che diventa radicale, mentre la maggior parte della classe lavoratrice e di quella medio-bassa diventa sempre più conservatrice”.
Sosteneva dunque che, “a lungo andare” (cioè oggi), “ciò potrebbe portare alla neutralizzazione o addirittura al capovolgimento dei tradizionali comportamenti elettorali su basi di classe: un nuovo sostegno ai partiti di sinistra potrà sempre più venire da parte delle classi medie, mentre i partiti difensori dello status quo potranno sempre più trarre sostegno da una classe lavoratrice imborghesita”. E in calo numerico, per via del passaggio da un’economia industriale a un’economia basata sui servizi. Una rivoluzione (appunto) dalle conseguenze importanti: “Nella società postindustriale un forte voto di classe sociale significa la fine per la sinistra. La sinistra deve andare oltre i confini della classe operaia se spera di vincere le elezioni”.
Non sorprende che ci abbia preso in pieno: la sua analisi era basata sui dati allora disponibili. Sorprende semmai che non sia stato ascoltato dai leader di sinistra. Non sono stati gli unici: la rivoluzione silenziosa era così silenziosa che non se n’è accorto quasi nessuno nemmeno a livello accademico o mediatico (tra quei pochi, MicroMega). Inglehart ne era consapevole: scriveva, già allora, che “i mass media tendono a concentrare l’attenzione sugli avvenimenti sensazionali o drammatici della nazione senza far troppo riferimento ai processi sottostanti”. Parole sante, vero?
Una nuova maggioranza sociale
Il titolo del libro di Inglehart evocava un concetto in voga negli anni settanta, “la maggioranza silenziosa”, rappresentata da chi non esprimeva pubblicamente le sue opinioni, ma votava a destra. Al punto che l’espressione fu ripresa, oltre che da Nixon e Reagan, anche da un movimento politico italiano marcatamente anticomunista. Quattro decenni dopo, il suo uso è sempre più limitato. Non perché siano spariti gli eredi politici dei suoi alfieri. Ma perché è cambiata la maggioranza silenziosa.
Non ovunque, beninteso. Ma il trend è quello. Ovunque. Persino nei paesi arabi, anche se a una velocità molto diversa. Ce lo dimostrano le tante tabelle contenute nel libro scritto dallo stesso Inglehart lo scorso anno, dal titolo Cultural Evolution. Si è avverato quanto era stato “predetto”: i cittadini post-materialisti sono diventati spesso maggioranza. Si è verificato un cambiamento culturale: anche i valori post-materialisti sono diventati predominanti. Sono accaduti eventi inimmaginabili quarant’anni fa: un uomo di colore è stato eletto alla Casa bianca; i matrimoni gay sono stati riconosciuti in oltre venti nazioni.
Le cifre sono eloquenti: più un paese è ricco, più chi ci vive si sente felice (anche se la crescita della felicità non è esponenziale). La felicità umana è strettamente legata anche alla libertà di scelta di cui si dispone, a sua volta dipendente dal livello di democrazia e di civiltà del paese in cui si vive. Si è più felici di un tempo perché si vive meglio di un tempo, come recentemente ha mostrato Steven Pinker, e un maggior numero di cittadini possono pensare a qualcosa di più divertente da fare che diventare matti per arrivare a fine mese.
Non è stato tanto un cambiamento nelle persone, quanto un susseguirsi di generazioni progressivamente più post-materialiste delle precedenti. Così, a ogni ricambio generazionale l’accettazione degli stranieri, degli omosessuali, della parità uomo-donna, della libertà di espressione, della libertà sessuale, dell’ambiente, dell’autodeterminazione, dell’affermazione personale, delle istanze laiche, dell’innovazione, della secolarizzazione e dell’eguaglianza sociale si è fatta più diffusa e si è accompagnata sia al rifiuto dell’autoritarismo, sia al sostegno alla partecipazione politica e alla democrazia.
Chi si è battuto per tutti questi obbiettivi dovrebbe sentirsi orgoglioso dei risultati ottenuti.

La reazione e il successo di minoranze chiassose
I ruoli si sono dunque invertiti. Al punto che gli eredi politici della maggioranza silenziosa sono ora in minoranza, e sono tutt’altro che silenziosi.
Anche i loro valori sono diventati minoranza. Basta accendere la tv: la pubblicità e le fiction strizzano sempre più l’occhio a stili di vita alternativi. Persino le più grandi multinazionali manifestano (quantomeno a parole) una sorprendente attenzione ai diritti umani. Ma non tutti, ovviamente, accettano il cambiamento culturale. E reagiscono — con veemenza: i gilet jaunes sono soltanto l’espressione più recente di un fenomeno in corso da anni. E che può essere vincente. Anche se Trump ha ricevuto meno consensi di Hillary Clinton. E anche se Salvini è ancora più lontano dal raggiungere la maggioranza dei consensi. Tuttavia, il rischio concreto è che presto diventino realmente maggioranza — come Orban ci insegna.
Potremmo pensare che dipenda dall’uso della tecnologia. In fondo, fino a pochi anni fa, nessuno poteva vincere un’elezione bombardandoci di tweet o facendo un uso sapiente di Facebook (dopo averne comprato tonnellate di informazioni riservate): anche perché internet non esisteva ancora, soltanto trent’anni fa. Ma le ragioni sono ben più profonde: i social network sono soltanto un mezzo utile per amplificare quello che Inglehart e Pippa Norris, nel loro libro fresco di stampa, definiscono Cultural Backlash: un vero e proprio “contraccolpo culturale”. Che si basa su diversi fattori.
Il primo e il più importante è l’istinto di sopravvivenza. Lo sappiamo da secoli: “primum vivere, deinde philosophari”. Ma oggi sappiamo anche che l’evoluzione ha plasmato ogni organismo vivente per dare il massimo quando si sente a rischio. La crisi morde, l’informatica taglia posti, salari e garanzie, e chi ne è colpito potrà anche nutrire valori post-materialisti, potrà anche coltivare il desiderio dell’autoaffermazione, ma l’insicurezza economica erode pian piano le sue convinzioni e lo rende più sensibile alle sirene populiste. Su scala più ampia, la continua crescita del numero di post-materialisti sembra essersi stabilizzata: se non lo si nota granché, è soltanto perché i millennials hanno rimpiazzato la generazione più materialista.
Le convinzioni post-materialiste sono messe in difficoltà anche dalla sensazione di maggiore insicurezza fisica — a dispetto del fatto che la violenza sia in realtà in diminuzione. Il combinato disposto di insicurezza fisica ed economica conduce a ciò che Inglehart definisce “il riflesso autoritario”: una reazione automatica che fa leva sul conformismo, sull’unità e la difesa del gruppo e sull’aspirazione all’ordine. E che si traduce in politiche identitariste, tradizionaliste e xenofobe: è tornata in auge persino la vecchia contrapposizione “Noi contro Loro”. L’etichetta “Loro” viene ovviamente appiccicata a qualunque minaccia esterna al gruppo (vera o immaginaria che sia): la destra classica nella versione classicamente più dura, insomma, che predilige le soluzioni spicce decise in autonomia da un uomo forte (o creduto tale).
Come ricorda Inglehart, “è improbabile che un cittadino su mille sia in grado di calcolare o spiegare il coefficiente di Gini sull’ineguaglianza. È più facile prendersela con gli stranieri per il fatto che la vita è diventata insicura”. Ma i dati parlano una volta ancora un linguaggio inequivocabile: l’ineguaglianza economica non rafforza i partiti di sinistra, rafforza quelli di destra. Sarà controintuitivo, sarà colpa di un malcelato risentimento e sarà pure contrario agli interessi di chi ne soffre: ma oggi è così.
Un’altra conseguenza eclatante dei cambiamenti in corso è la sempre più accentuata polarizzazione. Nelle ultime presidenziali Usa, notano Norris e Inglehart, il voto per Trump è stato quasi 3,8 volte più probabile tra i materialisti puri, il voto per Clinton 14,3 volte più probabile tra i post-materialisti puri: non si era mai visto nulla di tale ampiezza. Come se non bastasse, le ricerche mostrano come alcune opinioni definiscono una posizione politica molto più precisamente della classe sociale o del reddito: quella sull’aborto, per esempio.
I materialisti (molto più diffusi tra gli anziani, i lavoratori manuali, i poco istruiti, i ceti rurali, i più devoti) hanno la sensazione di essere dalla parte perdente della “guerra culturale”, espressione ormai di uso comune negli Usa. E pensare di essere dalla parte perdente genera livore ed estremizzazione. Il materialista insicuro che si sente impoverito (anche quando oggettivamente non lo è) continuerà a votare per un partito di destra o moderato. Il neo-insicuro, benché post-materialista, troverà invece più difficile continuare a votare un partito liberal o di sinistra. È una dinamica che, inchieste alla mano, spiega non soltanto il “sorprendente” voto presidenziale Usa, ma anche l’esito del referendum sulla Brexit.
Le inchieste di altri studiosi convergono in questa direzione. Anche quelle italiane. Alle politiche dello scorso anno, i Cinque Stelle sono apparsi la scelta ideale per gli inoccupati progressisti. Il Pd si è limitato a imbarcare i voti elitari che furono di Monti, mentre i veri e propri post-materialisti si rintracciavano soprattutto nel voto a +Europa e Liberi e Uguali. Ma la maggioranza di essi ha preferito astenersi. Cos’è successo, per averli costretti a una scelta così drastica?
I cambiamenti incompresi
I progressisti, diventati maggioranza quasi senza accorgersene, rischiano dunque di ridiventare in fretta minoranza. Per contro, la destra torna a presentarsi come securitaria, clericale, “anziana”, quindi identitarista dal punto di vista del marketing. Perché ha capito che deve incarnare i valori coltivati dalla maggioranza dei suoi elettori. Anche se sono valori minoritari.
I partiti liberal e di sinistra hanno invece piattaforme politiche che non sembrano accontentare pienamente gli elettori post-materialisti. Nonostante questi ultimi siano, negli Usa, il doppio dei materialisti, e in Svezia addirittura il quintuplo (perché la velocità dello sviluppo dipende molto dalla storia e della cultura di ogni paese), la proporzione di voti raccolta dal Partito Democratico e dai partiti progressisti svedesi non è affatto conseguente.
E le brutte notizie non finiscono qui. Già ora abbondano, in Europa, i preoccupati sul futuro: ma la quarta rivoluzione industriale e l’intelligenza artificiale rischiano di creare un autentico esercito di indecisi. I giovani hanno trovato nuove forme di attivismo, specialmente online, ma a discapito dell’esercizio del voto, che praticano molto meno degli anziani (non a caso, sono anche la generazione che esprime minor fiducia nella democrazia). Le competizioni elettorali si giocano sempre meno sulle contrapposizioni economiche (che ammettono molte sfumature intermedie) e sempre più su questioni polarizzanti come sicurezza, immigrazione, matrimoni gay. I sistemi elettorali possono enfatizzare ulteriormente il fenomeno, quando il risultato è sul filo di lana.
L’unica proposta nuova sinora emersa a sinistra presenta diverse somiglianze con quelle di destra: sono i “populisti libertari”. Norris e Inglehart definiscono infatti in questo modo i partiti che ricorrono a una retorica populista su piattaforme politiche non autoritarie. L’espressione — va detto — è decisamente opinabile: non basta non essere autoritari per essere sinceri libertari, altrimenti lo sarebbe anche Alfano. È comunque vero che i “populisti libertari” sono spesso leader carismatici: Corbyn, Iglesias, Mélenchon, Sanders, Grillo (l’unico non di sinistra e l’unico vincente, a ben guardare). Ma può rappresentare una linea laico-razionalista più sostenibile? Difficile. Il populismo cozza sempre parecchio con la ragione. E sui temi laici le loro posizioni non sono granché distinguibili dai (veri o presunti) libertari non populisti.
I quali si lasciano sempre più spesso dilaniare dai conflitti interni. Forse è inevitabile, visto che è largamente dimostrato che l’essere umano tende ad avere fiducia nelle proprie opinioni in maniera decisamente sovradimensionata. È un atteggiamento, questo, che trae nuova linfa da internet ed è quindi in aumento, soprattutto tra i più giovani, tanto da far pensare che dall’individualismo si stia rapidamente passando al solipsismo. Se tuttavia siamo più lupi solitari che giocatori di squadra, è chiaro che chi fa squadra dietro un uomo forte l’avrà sempre vinta contro qualunque altra squadra che, benché numericamente preponderante, sia composta da individui autoreferenziali che si ritengono tutti un uomo o una donna “forti”, e che a priori diffidano di qualunque potenziale istituzione diversa da se stessi. Un veloce bagno di umiltà sembrerebbe necessario…
Perdere il lume della ragione
Rimanere a metà del guado non appare molto pagante, in termini elettorali. La singola componente religiosa più significativa tra i democratici Usa è ora composta dai “senza religione”, ma i candidati democratici “senza religione” sono ancora numericamente irrisori. Storicamente, la sinistra non è mai stata particolarmente libertaria e ha sempre incontrato difficoltà ad accettare l’autonomia individuale. Ultimamente ha cominciato a porre paletti anche alla libertà di espressione — tacitando per esempio le critiche all’islam, in nome del politicamente corretto — e ad apprezzare aprioristicamente le comunità di fede. Il papa avrà anche fatto interessanti aperture sull’accoglienza, i migranti potranno anche essere meritevoli di sostegno, ma non per questo occorre chiudere un occhio sui sempre più frequenti attacchi dei leader religiosi ai diritti umani — magari in nome del comunitarismo. Le rare volte che un crocifisso viene tolto dai muri di una scuola pubblica non è mai in nome della laicità, ma perché “offende i bambini musulmani”. Bambini musulmani?
Da parte loro, i laici sono diventati probabilmente troppo silenziosi, quantomeno verso l’esterno. E dire che, se l’elettore in prima battuta laico ha difficoltà a esprimere il suo voto, quello che apprezza sopra ogni cosa l’uso della ragione se la passa persino peggio, probabilmente. Una vignetta pubblicata recentemente da Le Monde è in qualche modo emblematica. Dice un personaggio: “Restiamo materialisti, razionali, lottiamo contro i dogmi… reinvestiamo sul reale, combattiamo le credenze, i particolarismi, miriamo all’universalismo…” E l’altro: “? Non sei più di sinistra?”
La vignetta non ci può dire dove si collocano oggi i fautori della ragione. Non ce lo dicono nemmeno Norris e Inglehart. Semmai ci dicono che i post-materialisti puri hanno una particolare propensione a votare i partiti ecologisti — che qualche mal di pancia nei confronti della scienza e della ragione ogni tanto lo manifestano. Se andiamo a vedere cosa ci dice il World Values Survey in merito all’unico quesito che può avere attinenza con l’argomento, quello sulla convinzione che “scienza e tecnologia rendono le nostre vite più salutari, più facili, più confortevoli”, constatiamo che nel mondo è più diffusa tra chi si colloca a destra rispetto a chi si colloca a sinistra. Circostanza che spiega molte cose — in un’epoca in cui gli esperti, quanto a reputazione, se la passano male almeno quanto le istituzioni…
And the winner is…
In un quadro politico polarizzato, con una destra monoconfessionale e populista da una parte, una sinistra pluriconfessionale e non abbastanza laica dall’altra, l’esito è scontato. L’elettore laico ragionevole sceglie sempre più spesso il non voto. Contribuendo a far vincere schieramenti che non gli somigliano e che non sono nemmeno maggioritari, ma sono sicuramente più uniti — sia tra gli elettori, sia tra gli eletti.
C’è ovviamente da lavorare su questo, già nel breve periodo. Investendo in comunicazione, per far capire al maggior numero di persone possibile che occorre eliminare tali distorsioni. Agendo affinché ragione e laicità non siano una mera formula, ma obbiettivi condivisi dalla popolazione. Che sia necessario separare la sfera politica da quella religiosa è già stato compreso — e guarda caso anche il parlamento europeo l’ha fatto. Che scienza e tecnologia siano apprezzabili è già stato compreso — e guarda caso l’Unione Europea l’ha capito benissimo. I politici non sono certo tutti stupidi e/o venduti come troppo spesso riteniamo che siano. Spetta anche a noi cercare di rendere appetibile il nostro voto. Siamo anche noi che dobbiamo far capire che non ci occupiamo di questioni marginali, ma di temi centrali per il benessere delle società in cui viviamo e per le persone che ne fanno parte, atee o credenti che siano.
Ragione e laicità non hanno connotazione politica, si rivolgono a tutti e da tutti potrebbero essere rivendicate. E non è così difficile. Sarà anche vero che i laici votano soprattutto a sinistra e che la scienza e la tecnologia sono apprezzate di più a destra, ma è sempre il World Values Survey a informarci che, nel mondo, la maggioranza dei laici, la maggioranza di chi apprezza scienza e tecnologia, e persino la maggioranza dei non credenti sono tutte costituite da chi non si colloca né a destra, né a sinistra. Dulcis in fundo, sia la maggioranza dei laici, sia la maggioranza di chi apprezza scienza e tecnologia è composta da credenti. Far loro una guerra ideologica non sembra, dati alla mano, una strategia illuminata.
È tempo di uscire dai nostri schemi consolidati. Ed è tempo che lo facciano anche i partiti: in fondo, c’è un enorme vuoto politico che attende di essere riempito. Aspettando che accada, il 26 maggio ricordiamoci di votare con cognizione di causa.
Raffaele Carcano


lunedì 13 maggio 2019

Protezione sociale INPS al Forum PA 2019


Gli eventi in programma al Forum PA 2019 promossi dal INPS e Ministero del Lavoro: focus su lavoro e tutele.

L’INPS prende parte al Forum PA 2019, la mostra-convegno in programma a Roma presso il Roma Convention Center “La Nuvola” dal 14 al 16 maggio. Durante l’evento, che rappresenta un appuntamento dedicato alla Pubblica Amministrazione innovativa e all’innovazione sostenibile, l’INPS promuove una serie di incontri incentrati sulle tematiche legate al lavoro e alle sue tutele, temi cardine dell’edizione 2019.
In collaborazione con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, altri enti e Agenzie vigilate, l’INPS presenta nella sala congressi Lavoro & Welfare convegni e seminari dedicati al tema della protezione sociale.
Il calendario prevede i seguenti incontri:

  • seminario 14 maggio 2019, ore 10.30: “Stato di attuazione della banca dati delle prestazioni sociali agevolate”;
  • seminario 15 maggio 2019, ore 15: “Prevenire le frodi: intelligenza artificiale e nudge al servizio dei “buoni”;
  • convegno 16 maggio 2019, ore 11.45: “L’INPS dalla parte delle persone con disabilità: il valore della semplificazione”.